La modellazione, la scansione digitale e la stampa 3D sono le tre tecnologie che, di recente, hanno rivoluzionato il mondo del restauro, offrendo agli esperti di questo settore soluzioni davvero innovative. Un esempio che ha fatto scuola è il restauro, avvenuto nel 2017, del “Monumento funerario a Maria Isimbardi d’Adda”, opera che si trova conservata presso la Cappella Borromeo D’Adda nell’omonima Villa situata nel comune di Arcore, in provincia di Monza-Brianza. La statua raffigurante Maria Isimbardi presentava una mancanza rilevante: le falangi della mano destra. Grazie all’utilizzo della stampa 3D nel restauro, i ricercatori hanno potuto risolvere il problema.
La mano incompleta
Fatta eccezione per le dita mancanti, la scultura di Vincenzo Vela presentava condizioni conservative non particolarmente critiche. Per ricostruire la mano, i finanziatori dell’intervento decisero di incaricare un team composto da restauratori e da ricercatori del Politecnico di Milano. I primi studiarono attentamente l’opera con le consuete tecnologie, i secondi eseguirono invece una scansione 3D della mano incompleta.
Ricostruite le dita mancanti con il 3D
Fortunatamente il museo Vela di Ligornetto, in Svizzera, conservava il bozzetto in scala 1:1 della statua originale. Il gruppo di ricerca, grazie all’utilizzo dello scanner 3D, eseguì quindi un calco virtuale della celebre mano. Basandosi sul calco, le falangi perdute furono ricostruite proprio con la stampante 3D. Anche il materiale usato per l’operazione era innovativo: fu scelta la resina stereolitografica, una nuova formulazione che non danneggia in alcun modo le opere ed è ben riconoscibile se illuminata con lampada UV. Essendo un materiale molto leggero, per agganciare le dita i ricercatori si servirono di uno stratagemma: un sistema magnetico in neodimio, di piccolissime dimensioni (nell’ordine dei millimetri), che è in grado di consentire in ogni momento lo smontaggio delle parti integrate in totale sicurezza.
I restauratori eseguirono poi un ritocco pittorico sulle dita portandole ad una cromia molto simile a quella del marmo originale, seppur leggermente più chiara, in modo da rendere le falangi sviluppate in 3D riconoscibili.
Infine, per proteggere le nuove integrazioni e per donare loro una lucentezza simile a quella del marmo, fu stesa una cera microcristallina. Grazie a questo intervento innovativo le mani di Maria Isimbaldi ritornarono ad incantare gli osservatori, tanto che il restauro fu denominato dalle cronache locali come “Il gesto ritrovato”.